Il Subbuteo. Il calcio da tavolo. Ognuno con le proprie miniature. Con i propri colori, quelli a cui si affeziona di più (unico campo da calcio, antenato dei videogiochi, dove andava bene tifare e vincere con una bandiera che non è quella del tifo). Con suggestioni, partite narrate e raccontate in prima persona, effetti sonori riprodotti con bocca, onomatopeiche. Sfide. Ma anche ricordi di un calcio che pare non esserci più. Il Subbuteo è un gioco parallelo ma tremendamente concreto, che veicolava quindi anche i primi stupori per lo sponsor sulle maglie, il saper riconoscere le finiture prima ancora che gli stemmi soprattutto per squadre straniere. L’Anderlecht, il Dukla Praga, la Dinamo Kiev vincitrice della Coppa delle Coppe, il Nottingham Forest. Oppure il Liverpool di Rush, il Real Madrid di Santillana, il Malines, l’Amburgo, il Videoton.
Quindi l’Italia del Subbuteo, magari più banale, dove bastava collezionare figurine per avere in mente simboli, colori, sponsor tecnici. Naturali come fossero i nomi. Poi, per i più assatanati, date di nascita e carriere, presenze e reti. Aspiranti giornalisti. Per dire: l’Udinese del 1984, un must per quella generazione. La squadra di provincia che fu capace di portare in Italia un talento mondiale come Zico, dare ancora lustro a Causio prima e Massimo Mauro poi. Una mina vagante. Simpatica a tutti (accadrà forse poi soltanto con il primo Chievo di Del Neri, e solo in parte al Foggia di Zeman e al Vicenza di Guidolin). Ne esiste una riproduzione fedele, confezionata da una mano d’artista italiana, ovviamente appassionata dell’Old Subbuteo, e tutto è tremendamente reale: Causio, Zico, Galparoli. E poi tutti gli altri. Identici. Sono veri e propri pezzi unici, altro che collezione. Anche il termine rarità sta stretto. Perché il Subbuteo oggi fa sorridere, appassiona ancora il 40enne vintage, rimasto bambino, che fa un po’ finta che le TV non esistano. Fa sorridere ma fa anche tanta invidia.